Diario al tempo del Coronavirus n. 5

«Caro amico ti scrivo…»

Questa mattina il sole dorme ancora. Dal balcone guardo la città. In lontananza i nuovi grattacieli graffiano il cielo e gli ultimi sogni prima dell’alba. C’è un profumo diffuso che ricama il silenzio della primavera. Un profumo di mandorlo simbolo della perseveranza. Da oltre un mese viviamo questa necessaria distanza, ma siamo chiamati a starci dentro. Vivere accanto, non separati, a questa situazione. Stare nelle sofferenze, nelle lacrime, nelle speranze appese ai balconi o nella canzoni cantate dalle finestre. Stare nella memoria di chi ci ha lasciato, di chi ha lottato e pagato con la vita per la vita di ciascuno e di tutti. Lo leggo nei primi raggi dell’aurora.

La prima lettera di questa mattina insolita, è scritta nel “silenzio” che profuma la memoria di Raffaele Selleri che, sono i paradossi di questa pandemia, è morto poche ore prima dei drastici, ma necessari, provvedimenti restrittivi nel nostro Paese. Stare in questa situazione significa ricordare, fare memoria, del bene che Raffaele ha seminato nella sua famiglia, nel quartiere, nella parrocchia e nella città. Ricordo, anzi bisogna ricordare, le sue riflessioni bibliche nella cappella della Maddalena, che preparava con cura anche nella malattia. Il coronavirus colpisce i polmoni, le vie respiratorie. Raffaele soffriva per la lenta, ma inesorabile, insufficienza di aria nei polmoni. Sono i paradossi di questa storia. «Fai bene – dice Vittorio Bachelet – quello che sei chiamato a fare». Allora dobbiamo essere gli evidenziatori del bene di Raffaele che, ancora oggi, profuma il silenzio che avvolge il quartiere, la parrocchia e la città.   

La fede ci può aiutare a colmare la distanza e l’isolamento perché conosce la dimensione della comunicazione priva di  impedimenti, confini o barriere di isolamento. «Oggi sono ingabbiato – dice papa Francesco – ma è per le disposizioni contro il coronavirus. Ma io vi vedo, vi sono vicino». «Dobbiamo partecipare con lui – scrive Luisa Ghidini – di questo nuovo modo di vedere e di stare vicini insieme a responsabilità, pazienza, sollecitudine e solidarietà verso i colpiti, verso gli operatori sanitari con quella linfa che scorre perché il Vangelo è con noi». «Mi unisco – dice papa Francesco – ai miei fratelli Vescovi nell’incoraggiare i fedeli a vivere questo momento difficile con la forza della fede, la certezza della speranza e il fervore della carità. Il tempo di Quaresima ci aiuti a dare a tutti un senso evangelico anche a questo momento di prova e di dolore».

Il silenzio suscita la nostalgia del popolo milanese. «Ieri l’Inno di Mameli – scrive Mariarosa Donnini. – ha spezzato il suo sonno e mi ha commossa perché Milano è i miei affetti, Milano è la mia gente; Milano è la mia Italia. Poi finito l’Inno è ripiombato il silenzio, un silenzio assordante. Un sonno profondo che fa sobbalzare la mia città solo con le sirene delle ambulanze. La mia Milano è malata!» La distanza è anche l’occasione di riscoprire la dimensione di un tempo diverso, forse ritrovato. «In virtù della clausura – scrive Aldo Colonello –  che tutti stiamo vivendo, il tempo pare avere subito una trasformazione. Ci accorgiamo di averne molto di più a disposizione, quasi a mettere in un angolo il concetto della sua pura convenzionalità».

La separazione ha accentuato due realtà che oggi, ancor più domani, ci interrogano concretamente: la vita e la salute, il valore effettivo del denaro. «La vita – scrive Marco Galbusera – viene prima dell’economia e della finanza; questa è una notizia bomba! Ecco il primo frutto buono del coronavirus; adesso l’abbiamo capito!? Adesso ne siamo convinti!? Tutto questo deve lasciare anche qualcosa di buono. Io devo uscirne migliore. Lo devo a questi medici e questi preti. Lo devo al mondo. Come fare? Ci lavoro, ci penso, ci prego sopra. Più uomo, più cristiano, più Marco».

La scuola in video camera ha garantito il diritto e dovere alla formazione ed educazione scolastica dei giovani (Artic. 33-34 della Costituzione) e fatto emergere spaccati sconosciuti. «Io lavoro – scrive l’insegnate Cinzia Ratto – tanto, tantissimo più di prima, per preparare le lezioni, per dispensarle on line. Correggere in via informatica è letterale “casino”nella gestione dei disegni grafici in formato file. La mamma anziana non cammina più. La badante a tratti condivide le nostre giornate. Oltre a questo ho un cane meraviglioso, tenerone e mangione che è il mio unico alibi. La spesa mi permette di mettere piedi e naso fuori da casa. In realtà ogni tanto fuggo anche stando seduta».

Dopo anni l’insegnante di francese Paola Manara mi scrive una bella lettera dove, anche in ambito scolastico, emerge la nostalgia positiva dello stare insieme in classe, altrimenti si alza il muro della noia. «Le ultime sono state settimane paradossali. Mentre tutti stanno fermi, a scuola  sembriamo tutti impazziti a correre da un sito all’altro per portare avanti i “programmi” scolastici, parola che ormai in questo contesto non ha veramente più senso. Io e i miei alunni pensavamo di riuscire a fare una marea di cose stando a casa e invece più passano le settimane, più ci accorgiamo che dietro gli schermi dei computer ci si sta appiattendo il cervello, che la mancanza di quegli stimoli che normalmente ci affaticano, ci stressano o ci appesantiscono (compiti, verifiche, interrogazioni,  dibattiti,  ecc.) in realtà  non è sinonimo di  liberazione,  ma di impoverimento, di noia. Con amarezza mi comunicano che una collega non può uscire da casa sua a Milano per dare l’ultimo saluto alla madre, isolata e poi deceduta in casa di riposo a Erba. Il virus sembra amplificare le nostre gioie, ma soprattutto le nostre fatiche e ci sbatte in faccia le nostre malattie più profonde, quelle che neanche un vaccino potrebbe debellare. La speranza è che ciascuno riesca a trovare la forza per rimettersi in cammino, (soprattutto stando a casa, cosa che per noi lombardi iperattivi …non è semplice!), per riscoprire la bellezza dello stare, del contemplare invece che del fare». Questo tempo inedito ci fa scoprire la necessità di una nuova spiritualità, il sorgere di nuove domande e nuove risposte «dove i semi buoni della cura – scrive Roberta Osculati – , della gratuità, dell’amicizia, del bisogno di dignità prendono la forma matura del rispetto, della fiducia e della custodia reciproca. Ma servirà anche cambiare lo sguardo e dirigerlo verso le persone più fragili, i quartieri più periferici, un uso del potere più sapiente. Servirà che si scelga continuamente questa nuova via, affinché quel “passaggio” imbroccato si trasformi nell’inizio di una nuova strada». La strada della risurrezione? Buona Pasqua e buona risurrezione!

                                                                                                              S. M.

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