Diario al tempo del coronavirus n. 3
“E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante)
Mentre tornavo dalla clinica San Carlo di Paderno Dugnano, dal finestrino mi baciava il sole contornato dall’azzurro del cielo. Molte le finestre, i balconi, con la nostra bella bandiera tricolore. A tratti leggevo lo striscione arcobaleno con la scritta Andrà tutto bene che i bambini colorano con entusiasmo. In questo tempo buio è giusto far sorridere i bambini che, a loro modo, ci insegnano la terapia della speranza. C’è un paradosso che, giorno dopo giorno, prende quota. Come reazione alla disumanità del coronavirus vediamo riaggregarsi solidarietà e umanità. Al bando governativo per l’assunzione di 300 medici la risposta è stata di 7mila domande tra giovani e medici in pensione. Di fronte al male invisibile che, giorno dopo giorno, distrugge creando deserti inimmaginabili, c’è uno scatto d’umanità che si è diffuso in tutto il pianeta. Un colpo creativo e propositivo all’incultura di un egoismo idolatrato come il vitello d’oro. Il silenzio anomalo, ma necessario, delle città svela un verità che non potrà essere dimenticata dopo l’epidemia. Mentre l’economia è ferma l’inquinamento è sceso vertiginosamente. Usiamo la mascherina ma si respira. Quando Pasolini, irriso da tutti, parlava di “falso progresso” aveva ragione! E’ paradossale ma nella lettera enciclica Laudato sì di papa Francesco ci sono punti in comune con il pensiero di Pasolini.
Dal televisore vedo tante bare di persone uccisi per il coronavirus, trasportate dai mezzi militari da Bergamo in diverse località italiane. Funerale collettivo ma senza parenti, solitario e straziante. La disumanità del coronavirus è allo Zenit!? Quelle immagini mi rimandano a papa Francesco, anche lui pellegrino solitario nelle vie deserte di Roma verso una chiesa per pregare solitario la Madonna. Quando Gesù pregava chiedeva sempre al Padre che cosa doveva fare. Pregare è anche un camminare verso e con i poveri che Gesù incontrava nella strada, non nel tempio. Pregare è chiedere al Signore: “che cosa vuoi che faccia per te, per il Regno?” Quante eucaristie sciupate perché non consumate, masticate, nella nostra vita quotidiana? Insieme al numero dei medici in prima linea stroncati dal coronavirus, è cresciuto anche quello dei sacerdoti. Nella sola Lombardia ricordo don Antonio Mattioli (Mantova), don Fausto Resmini di Bergamo, di Milano mons. Francesco Carnevali e don Giancarlo Quadri, prete dei migranti e migrante per il Vangelo, che ho conosciuto e intervistato. La nostalgia di comunità la percepisco nei bambini, nei loro disegni e pensieri che mi hanno inviato via computer, tra questi un maestoso codirosso che mi fissa curioso più che imbarazzato. Una bambina mi ha scritto una poesia che mi ha commosso, ora è sul mio comodino. I bambini, con il loro sorriso, hanno capito il difficile momento che tutti stiamo vivendo. Con il loro linguaggio semplice, ma concreto, ci dicono che la speranza è anche il coraggio di guardare oltre il buio. “Lo duca ed io per quel cammino acceso / entrammo a ritornar nel chiaro mondo; / e sanza cura aver d’alcun riposo, / salimmo su, ei primo ed io secondo, tanto ch’io vidi delle cose belle / che porta il ciel, per un pertugio tondo; / e quindi uscimmo a riveder le stelle”(Dante). Che le parrocchie, come ha suggerito mons. Mario Delpini, suonino almeno le campane.
S. M.
Vi mostro anche la pubblicazione della Lettera agli amici dell’azione cattolica ambrosiana.
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