Diario al tempo del coronavirus
L’arcobaleno contro il mostriciattolo
La piccola Elisa, quattro anni, con mamma Lucia ha disegnato sulla stoffa l’arcobaleno della pace con la scritta Andrà tutto bene. Il coloratissimo arcobaleno deve essere appeso al balcone perché «il mostriciattolo coronavirus – dice Elisa -, quando arriva davanti al mio balcone, scappa perché non gli piacciono i colori». Una scritta che si sta diffondendo nei negozi, sulle saracinesche del quartiere, della città e in tutto il Paese.
Aumentano nuovi segni che, ogni mattina, vediamo diffondersi nella quotidianità dei cittadini. Milano, come il nostro quartiere, nell’arco di poco tempo sono stati avvolti dal silenzio, non più dal rumore frenetico, assordante. Un silenzio non virtuale con questo messaggio: passata l’epidemia nulla sarà più come prima. Un segno tra i tanti che stanno popolando le città deserte. Segni di un mutamento o di un cambiamento? Tutto è in divenire! Segni che toccano le singole persone, ma anche la collettività, i gruppi (famiglia, lavoratori, studenti, bambini, giovani, anziani, ammalati, clochard, immigrati, rom), le abitudini del “popolo”che incidono nel presente e nel futuro.
Anche se la Messa è sospesa, per i cristiani l’eucaristia domenicale continua nella quotidianità con lo spezzare, cioè condividere, il pane eucaristico della carità e del servizio nelle proprie realtà singole o conviviali, nelle preghiere e invocazioni come ha fatto l’arcivescovo Mario Delpini sul tetto del Duomo rivolgendosi alla Madunina del nost Milan. I segni di questo cambiamento, o mutamento, sono interessanti e ben visibili. Il silenzio respira un tempo della giornata meno frenetico. Le strade, i tram e le metropolitane, sono vuoti. Si vedono fila composte davanti alle farmacie, ai negozi di prima necessità, ai supermercati. Triplicate le brevi videochiamate tra amici, parenti, a volte con brevi filmati ottimistici e umoristici che manifestano la nostalgia di comunità. C’è una sana nostalgia di comunità che incomincia a farsi sentire. Come auspica mons. Mario Delpini, anche nell’emergenza può aprirsi lo spazio alla «fantasia della carità». Sulla saracinesca di un negozio di quartiere leggo questo avviso ai clienti: “fermarsi e stare a casa è l’unica soluzione per contrastare questo virus. Mi mancherete tanto, ma sono fiduciosa che ci rivedremo presto! Veronika”. Segni dello Spirito che stimola creatività e speranza? Tutto è ancora in divenire. La scuola continua le sue lezioni online, ma «stare a casa – scrive la quindicenne Matilde – dopo un po’ è noioso. Non lo avrei mai pensato, ma sento la mancanza della scuola e, soprattutto, dei miei amici». Tra i consigli per contrastare il coronavirus, oltre all’abitudine di lavarsi le mani di frequente, c’è quello di non scambiarsi abbracci e strette di mano. Come non ricordare che nella Messa siamo invitati a scambiarci “un segno di pace?” «Nel mio viaggio in India – dice Riccardo – ho fatto una interessante scoperta. Il suo ricordo mi è stato sollecitato proprio dal coronavirus. Nella cultura indiana, più antica dell’occidentale, il saluto è accompagnato dal gesto di congiungere le mani al petto, pronunciando la parola Namasthè che significa “saluto lo spirito divino che vive in te”. Segno di riconoscimento di una comune fratellanza. Sant’Agostino dice “Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell’uomo che c’è la Verità”. Penso che non sia fuori luogo l’assonanza “allo spirito divino che vive in te”»
E’ di questi giorni la notizia che la ventiduenne Chiara Signorelli, neolaureata in Scienze infermieristiche, insieme ad altri 92 neo infermieri sono pronti a scendere in campo per l’assistenza medica dovuta all’emergenza coronavirus. Potrebbero essere operativi tra pochi giorni. «Certo, – dice Chiara Signorelli – in questo momento c’è un po’ di paura, ma dall’università ci guideranno in questa fase iniziale. Ai miei genitori preoccupati ho spiegato loro che è il mio lavoro, è la mia vita».
S.M.
Per commenti e contributi: silviogriot@hotmail.com
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